Storie d'amore per lo studio by Paolo Pellegrini

Storie d'amore per lo studio by Paolo Pellegrini

autore:Paolo Pellegrini [Pellegrini, Paolo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: EINAUDI
pubblicato: 2023-05-16T12:00:00+00:00


Se cosí stanno le cose l’autore del Delfilo non può essere certamente Francesco Colonna che a quell’epoca aveva una settantina d’anni. E questo è un primo dato certo.

Fonti storiche ci informano poi che la peste spinse molti pavesi a fuggire volontariamente dalla città e a rifugiarsi nella zona di Piacenza. Tra costoro anche la famiglia cui apparteneva la fanciulla ospitata e amata dal poeta. Il luogo è descritto con dovizia di particolari; tutto sta a identificarli con un po’ di pazienza: «Sopra l’inclita, antica imperia Augusta» (v. 301), cioè sopra Piacenza (civitas Augusta), «u’ l’Appennino a incominciar si gusta | […] nasce un torrente […] | di genuina crudeltà non stanco, | di sangue ingordo, sitibondo et vago» (vv. 303-9), cioè il fiume Trebbia sede della sanguinosa battaglia tra Romani e Cartaginesi (218 a.C.). Proprio lí, presso la Trebbia, alla base dell’Appennino, il cuore del poeta fu trafitto dall’amante (v. 312 «piaga mortal mi fe’ al sinistro fianco»); lí dove sorge «di nove mura un oppido antico | sopra il Ghiandoro, al megio a dui torrenti» (vv. 320-21). La fanciulla fu dunque ospitata in un castello (oppido) antico ma oggetto «di nove mura», cioè di recenti lavori di ricostruzione. I dettagli sono confermati dalla prosa latina premessa al poemetto: in una fantasia onirica, l’autore immagina di salire al colle («colliculum ascendo […]») e rivedere il suo castello in via di ristrutturazione tra le mura cadenti degli antichi ruderi corrosi ormai dalla vecchiezza («muris veterioribus dissipatis vestustate carieque marcidis, in nova excrescens moenia oppidulum conspitio»). Il castello è protetto da quattro torri, tre a pianta circolare e una quadrata che si erge a sud-ovest («quaternis turribus, orbiculatis tribus, quae meridie inter et occidentem invisitur quadrata»); vi si accede attraverso due ponti levatoi («gemino ponte superato») e all’interno fervono i lavori sotto la vigile sorveglianza dell’architetto («architecti industria»). Dalla cima di quel colle floridissimo («clivulus vernantissimus») la vista spazia dalle Alpi all’Appennino, sino ai colli Euganei («Cispadanos Transpadanosque omnes ab alpibus Bergomatum Insubriumque ad Euganeorum colles»).

Manca poco all’identificazione, per la quale il poeta ci porge l’ultimo indovinello (vv. 322-24): «Questo è un mio sito, forsi ad altri amico: | par che dal sol l’ultimi accenti prehende, | o sii pel seren lui vernante aprico». Il castello che corrisponde alla descrizione, situato su di un colle oltre Piacenza verso l’Appennino, nei pressi della Trebbia, è il castello di Momeliano. Da quel colle infatti nasce il torrente Ghiandoro che si getta nel Po prendendo a valle il nome di Loggia. I «dui torrenti» sono la Luretta (che va a confluire nel Tidone) e la Trebbia stessa. E in effetti, a pensarci bene, se si pone attenzione alla paraetimologia del suffisso (-eliano, da Elio ‘sole’), Momeliano «dal sol l’ultimi accenti prehende». Ricerche compiute nell’archivio parrocchiale di Momeliano hanno rivelato che a quell’epoca proprietario del castello era il nobilis et generosus vir Antonio Ceresa. Di questo Antonio non si hanno piú notizie dopo il 1498. Il primo documento che rivede presenti i Ceresa è del 1502:



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